Contributi storiografici
A Historical account of archaeological discoveries in the region of Torre Annunziata – Cronache storiografiche archeologiche nell’area di Torre Annunziata
Abstract:
«La meravigliosa orografia costiera, l’aspetto topografico del luogo, facevano di Oplonti o Oplontis, un meraviglioso luogo residenziale dove trovarono ospitalità alcune delle più rinomate famiglie patrizie della sfera aristocratica pompeiana.
Ma Oplontis, non fu esclusivamente un luogo di residenza e di soggiorno stagionale: divenne man mano una località in veloce espansione urbana, dove al fianco delle lussuose e maestose ville, sorsero, in un contesto unico nel suo genere, attività commerciali e servizi essenziali, quali le fonti termali, atte a donare benessere ed alleviare le “fatiche” giornaliere dei residenti di quei luoghi ameni.
Per quasi diciotto secoli, tutto questo giacque nelle coltri piroclastiche che il Vesuvio volle gettare con impeto lungo le sue pendici, come per celare e conservare per sempre un istante di una civiltà che rese grande queste lande vulcaniche. Il Vesuvio fu artefice della perfetta conservazione, unica nel suo genere, di tutto quello che riguardava la presenza romana alle sue falde, oltre agli edifici, gli uomini, gli animali, gli attimi e le azioni umane di un tranquillo giorno di quel fatidico 79 d.C.
Dopo i primi ritrovamenti, del tutto casuali, avvenuti nel corso dei secoli, a partire dal XVI al XX secolo, solo negli anni ’70 del Novecento uno striminzito gruppo di studiosi di storia locale, appassionati e innamorati delle proprie radici, si dedicarono con straordinario impegno alla riscoperta della storia archeologica oplontina. Di questi vanno, senza ombra di dubbio, ricordati alcuni nomi ai quali si deve senz’altro lo sprone della rinascita di Oplonti: il Mons. prof. Salvatore Farro, il prof. Carlo Malandrino, il prof. Salvatore Russo e altri.
Dopo i primi ritrovamenti, nello stupore, la felicità o l’indifferenza cittadina, il prof. Carlo Malandrino, tra i suoi lavori dedicati alla narrazione delle vicissitudini locali, decise di stilare e redigere un documento dove si riportavano tutti i maggiori rinvenimenti archeologici effettuati sul territorio nel corso dei secoli, affinché ne restasse memoria.
Nel corso di questo lavoro, cercheremo in qualche modo di ripercorrere i passi dell’esimio Professore, da appassionati sostenitori della storia torrese anche per ricordare quale grande esponente egli fu e quanto a tutt’oggi rappresenti.»
Vincenzo Marasco, Antonio Giordano
La zampogna ai piedi del Vesuvio
Abstract:
«Il nostro viaggio di storia, e storie, inizia alla ricerca delle notizie relative alla famiglia zampognara maggiormente radicata sul territorio boschese: I Catapano. A farci da testimone è Antonio Catapano, classe 1942, ultimo erede e conservatore delle tradizioni musicali di famiglia.
Le notizie più lontane inerenti al ceppo e la sua vocazione musicale, Antonio le riferisce al nonno paterno, Antonio Catapano, classe 1850, contadino, nativo di Boscotrecase.
Raccontarci come il suo avo fosse stato influenzato o avesse ereditato l’arte zampognara, il nostro Antonio non è stato in grado di spiegarcelo, ma resta lucido il suo ricordo sulla bravura del nonno nelle sue esecuzioni, tanto che veniva definito uno dei pochi maestri che potevano competere con i provetti, e più tradizionali, zampognari che ogni anno venivano da Santa Maria a Vico, località tra il casertano e il Sannio, per portare le novene in questa zona vesuviana. Come ci viene riferito, questi ultimi erano soliti fermarsi dal maestro Antonio per un’ulteriore accordatura dei loro strumenti lasciando come segno di riconoscimento una “ruota” di pane cotto a fascine.
A duettare con il vecchio Antonio nelle sue esibizioni vi era suo fratello Carmine, suonatore di ciaramella. Insieme, oltre alle classiche novene e pastorali del periodo natalizio, erano soliti accompagnare, a piedi, i “carrettoni” e le carovane dei fedeli che si recavano in processione, durante il periodo settembrino, al Santuario di “Mamma Schiavona”, la Madonna di Montevergine.
A questo punto possiamo asserire che Antonio fece di questa tradizione motivo di sussistenza supplementare al suo status di contadino.»
Angelandrea Casale, Vincenzo Marasco
1319-2019, settecento anni fa la fondazione della cappella dell’Ave Gratia Plena e di Torre Annunziata
In Giordano Salvatore – Pagano Domenico (a cura di), Catalogo 48° Mostra di Presepistica Città di Torre Annunziata, Associazione italiana “Amici del Presepe” sede di Torre Annunziata “Padre Angelo Maria Salvatore”, s.n., Torre Annunziata 2019, pp. 8-12.
Abstract:
«Con Roberto d’Angiò (1278-1343), salito al trono nel 1309, il nostro territorio riceve benefici interventi sia in campo sociale sia economico.
Mentre re Roberto era impegnato in estenuanti lotte in Italia centrale e settentrionale tra la fazione guelfa, da lui capeggiata, e la fazione ghibellina, capeggiata dall’imperatore, nonché alla corte di papa Giovanni XXII ad Avignone per cinque anni (1319-1324), il figlio Carlo d’Angiò (1298-1328), Duca di Calabria, funse da Vicario Generale del Regno.
Ecco il motivo per cui proprio Carlo d’Angiò firma il decreto di concessione del 19 settembre 1319 a favore di Guglielmo da Nocera, Matteo de Avitabulo, Puccio Francone e Andrea Petrucci, per un borgo e una cappella dedicata alla Vergine Annunziata da costruirsi nel bosco di Scafati, nel luogo detto Calcarola.
È l’atto di nascita della chiesa dell’Ave Gratia Plena e della città di Torre Annunziata.
A distanza di diciotto anni la piccola chiesa era già costruita o in fase di realizzazione avanzata. Ce lo dice il documento del 28 marzo 1337 con il quale Roberto d’Angiò, per volontà della regina Sancha d’Aragona (1285-1345), sua seconda moglie, distacca dal territorio di Ottaviano (Castri Ottaiani) una distesa boschiva, denominata Silva Mala (territorium nemoris Silvæ Malæ), assegnandola ai Reali Monasteri di S. Chiara, S. Maria Maddalena e S. Maria Egiziaca, fondati dalla pia consorte. Nel suddetto documento, redatto a Napoli da Giovanni Grillo, Viceprotonotario del Regno, si specificano i confini della Silva Mala e si citano chiese, cognomi e antichi toponimi.»

Vincenzo Marasco
La zampogna: cenni, mito e magia di uno strumento di pace
In Giordano Salvatore – Pagano Domenico (a cura di), Catalogo 48° Mostra di Presepistica Città di Torre Annunziata, Associazione italiana “Amici del Presepe” sede di Torre Annunziata “Padre Angelo Maria Salvatore”, s.n., Torre Annunziata 2019, pp. 17-21.
Abstract:
«Nonostante i numerosi studi sulla Zampogna, ancora oggi non possiamo affermare con precisione come e quando sia nato il suo primo archetipo.
La Zampogna è una tipologia di aerofoni a sacco, della famiglia di strumenti musicali che traggono il proprio principio di funzionamento da uno o più elementi sonori alimentati in modo continuo da un serbatoio d’aria tenuto in pressione dal soffio insufflato del suo suonatore, ovvero dallo Zampognaro: è, quindi, l’aria contenuta nell’otre, tradizionalmente di vello caprino, ma oggi anche di materiale sintetico, a far vibrare le ance poste sugli elementi sonori, una serie di canne lignee tenute insieme da un unico ceppo, sempre di legno, che producono i suoni caratteristici di questo strumento così caro a tanti, soprattutto nel Centro e Sud Italia, in quanto i suoi suoni riconducono inevitabilmente al calore del focolare domestico e agli sterminati spazi montani e, come accade soprattutto nella tradizionale italiano, ai santi giorni della Natività di Gesù Cristo.
Poche sono le fonti che fanno riferimento a questo strumento in epoche antiche.
Ma ripercorrendo la storia, il mito e anche i vari aspetti della tradizione popolare, che attribuiscono alla Zampogna degli interessanti riferimenti ancestrali, si evince che una sua prima forma, in epoca latina conosciuta come utriculus (piccolo otre), doveva essere utilizzata per scopi totalmente differenti rispetto a quelli che noi oggi siamo soliti indicare.»

Vincenzo Marasco
Note sulla resistenza antifascista a Torre Annunziata, dall’ascesa del Fascismo alla fine della Seconda Guerra Mondiale
In Giovanni Cerchia (a cura di), Gli anni cruciali della Resistenza e la costruzione della democrazia, ed. Infiniti Mondi, Napoli 2024, pp. 55-76
Abstract:
«Il 28 ottobre 1922, data della marcia su Roma, il 31 ottobre 1922, giorno in cui Benito Mussolini aveva assunto l’incarico dal re Vittorio Emanuele III di formare un nuovo governo, e il 17 novembre 1922, giorno della fiducia al parlamento del nuovo esecutivo fascista, determinarono una spaccatura profonda anche nel contesto sociale di Torre Annunziata. Già da tempo in città si erano riscontrati casi politici di chiara contrapposizione al Partito Nazionale Fascista, la cui sezione del fascio di combattimento era stata istituita il 23 febbraio 1921 dal fascista della prima ora Carlo Conte (Gallipoli 1853 – Torre Annunziata 1938).
Ad appoggiare il fascio di combattimento di Torre Annunziata si era schierata la gran parte dei padroni degli opifici locali, che, allineata alle ideologie fasciste, sempre più spesso si erano affidati alle intimidazioni delle squadracce affinché queste distogliessero gli operai dalle loro rivalse e dall’adesione ai frequenti scioperi indetti dalle leghe di rappresentanza di classe.
Praticamente nel 1922 per via delle incursioni fasciste, i comunisti e i socialisti torresi non avevano più sedi dove potersi riunire e svolgere le proprie attività sindacali. Ma nonostante le difficoltà e i rischi che spesso si tramutavano in sonore bastonate inferte anche per strada, le attività continuarono ad essere condotte con fermento. Ci si incontrava clandestinamente in luoghi come scantinati e negozi che non destassero particolari attenzioni, oppure lontano dal centro cittadino spesso troppo sorvegliato. Ad appoggiare e a dare direttive all’attività sovversiva degli antifascisti, dal 1923 anche a Torre Annunziata si riuscì a stabilire dei collegamenti con i cinque segretariati regionali del partito comunista che, nel frattempo, aveva trovato in città ben 13 iscritti al partito sui 249 inseriti nell’elenco riguardante gli aderenti in tutto il Meridione.
Il 31 marzo 1937 nella rete delle “spiate” era caduto il commerciante ed ex operaio Mariano Guarriera, che, sorpreso da un gruppo di camice nere nella profumeria gestita dalla moglie Carmela Pagano a discutere con Alfredo Aprile, Salvatore Montuori e Catello Pagano sull’andamento della guerra in Spagna, era stato arrestato e inviato al confino sulle Isole Tremiti, dove rimase fino al Natale dello stesso anno.
Durante gli anni della guerra la casa e la bottega di Mariano Guarriera e di Carmela Pagano erano divenute dei punti di riferimento essenziali per la Resistenza torrese. Pur essendo consapevoli dei rischi che correvano, Carmela, Mariano e i loro compagni trovarono il modo di installare nello scantinato della profumeria una radio con frequenza sintonizzata su Radio Londra, che nel 1943 trasmetteva per oltre 4 ore al giorno anche in italiano. Così da poter seguire gli sviluppi della guerra in Italia e in Europa, e intercettare i messaggi in codice riservati alla Resistenza che si stava organizzando in tutto il Continente.»